Ti salutiamo, o Maria, tu che dimori come bellezza in tutti gli esseri.

Ti salutiamo, o Maria, tu che sei la castità in tutte le creature.

Ti salutiamo, o Maria, tu nelle creature sei presente come compassione.

Ti salutiamo, o Maria, conforto e madre di tutti gli esseri

(G. Vannucci)

Dipinta dal pittore iconografo Antonio Pio Faresin per la chiesa del monastero, l’icona della Madre della Grazia è proposta alla contemplazione attraverso un percorso biblico che illustra il ruolo di Maria nel mistero della salvezza. L’icona infatti si presenta come una grande pagina miniata in cui il soggetto centrale è commentato dalle scene e rievocazioni bibliche che compongono la cornice e che maggiormente possono far risuonare il messaggio della grazia donata da Dio agli uomini.

La lettura dell’icona è introdotta, nel riquadro in alto a destra, dalla figura dello “scrittore ispirato” che intinge la sua penna nell’inchiostro offerto da una monaca.

Sul lato superiore campeggia, iscritta nel semicerchio centrale, a illustrare il dogma dell’Assunzione, la “Donna vestita di sole” dell’Apocalisse (Ap. 12,1), segno della Chiesa che in Maria assunta contempla la pienezza di quel cammino di grazia, già in atto nel tempo presente.

Alla sua destra vediamo il drago avventarsi contro la Donna che fugge nel deserto, mentre il figlio appena nato viene rapito in cielo (Ap. 12, 3-6).

Alla sua sinistra proseguendo la lettura in senso antiorario, si snoda una serie di scene che vogliono significare i momenti salienti della storia dell’Alleanza che si compie, nella pienezza dei tempi, con l’incarnazione del Verbo di Dio nel grembo di Maria.

Incontriamo dunque, l’Eden, il giardino dell’amicizia di Dio con l’uomo, da dove i progenitori vengono cacciati dopo il loro peccato (Gen. 2-3); l’arca grazie alla quale Noè e la sua famiglia vengono preservati dalle acque del diluvio (Gen. 6,14ss); l’apparizione di Dio, nella figura dei tre angeli, ad Abramo alle querce di Mamre con la promessa di una discendenza (Gen. 18, 1ss); il dono della legge a Mosè sul Sinai, mentre il popolo purificato è in attesa alle falde del monte (Es. 19); la custodia della Torah nel Santo dei Santi cui rimanda la figura dell’arca santa e del candelabro, figura che prelude a Maria, custodia vivente della Parola.

Giungiamo così alla scena dell’Annunciazione, nel semicerchio di sinistra: il “sì” della Vergine figlia di Sion all’angelo, permette l’inverarsi delle promesse e delle profezie antiche (Lc. 1, 26-38). E’ raffigurato in questo modo il dogma della verginità di Maria, cui segue il celebre vaticinio di Isaia al re Acaz (Is. 7,14) e la sposa del Cantico dei cantici che sale dal deserto appoggiata al suo diletto, figura della Vergine – sposa di Dio (Ct. 8,5).

Sul lato inferiore, nel riquadro di sinistra, contempliamo la trasfigurazione del Signore sul monte Tabor (Mc. 9, 2-10) dove Gesù, il Messia “nato da donna, nato sotto la legge per riscattare coloro che erano sotto la legge” (Gal. 4,4), dialoga con Mosè ed Elia a significare che in lui è il compimento della legge e dei profeti, compimento sigillato nel mistero pasquale di morte e risurrezione (scena della crocifissione e della discesa agli inferi). Gesù è dunque il nuovo Adamo: in lui ogni creatura è redenta, prima fra tutte, la Vergine Maria. E’ quanto illustrato nel semicerchio centrale a simboleggiare il dogma dell’Immacolata concezione: Maria la nuova Eva abbraccia la prima Eva nell’Eden ritrovato. Seguono i simboli dell’incorruttibilità mariana: la torre guarnita degli scudi dei prodi e la città fondata sui monti santi (Sal. 86); quindi, l’immagine di Maria che lavora al telaio: riferimento non soltanto alla necessità delle opere per convalidare la fede, ma anche poetico rimando alla tessitura che la Vergine di Nazaret realizza con la Parola. Così, forte dell’incorruttibilità e dell’operosità, Maria può cantare il “Magnificat” : scena dell’incontro con Elisabetta (Lc. 1, 39-46) e collaborare all’avvento del Regno e al dono della Grazia. La presenza del regno di Dio in mezzo agli uomini è profetizzata nel sogno di Giacobbe con gli angeli che salgono e scendono lungo la scala (Gen. 28, 10-12), dipinti subito sopra, e finalmente inverata nella nascita del Salvatore.

Questo ci mostra la scena della Natività (Lc. 2,6-7) contenuta nel semicerchio di destra, secondo lo schema bizantino del “roveto ardente”. E’ qui simboleggiato il dogma della maternità divina di Maria.

La madre di Dio è anche madre della Chiesa fin dal suo nascere nel giorno di Pentecoste quando, insieme con gli apostoli, attende lo Spirito santo, dono del Signore risorto e asceso al cielo (At. 1, 12-14; 2, 1-4). Come Maria, anche la Chiesa è fondata sui monti santi: a questo allude la struttura architettonica che contiene la scena della Pentecoste – Ascensione; e nella Chiesa si attende il ritorno del Signore così come lo si è visto salire al cielo (At. 1, 9 -11).

Il tema centrale è ispirato al tradizionale canone “della tenerezza” , reinterpretato alla luce di tutto il messaggio salvifico fin’ora meditato: il bimbo Gesù, abbracciato alla madre, è il Messia pasquale che, scuotendosi le bende funebri (rievocate dalle fasce), porge con una mano il fuoco dello Spirito santo. Lo porge alla madre, la “piena di grazia” per eccellenza e lo porge alla Chiesa di cui Maria è figura.

Possiamo scorgere, disseminati tra le scene bibliche, tredici piccoli fiori. Il pittore ha così voluto graziosamente ricordare le tredici monache che costituivano la comunità al momento della commissione del lavoro.